Privilegi della politica, informazione libera e informazione critica… un post lungo, che sembra uscire fuori dal tema… ma è solo che la libertà, a volte, va controtendenza…
A volte la libertà è in controtendenza con la direzione che il dibattito sembra prendere in una comunità di persone, costituita in società. Si parla, da tempo ormai, dei privilegi della politica, della “casta” dei politici, perdendo di vista il senso della realtà, dimenticando che la politica è l’espressione di una società civile costituita in una organizzazione, che sia statale o di ambito locale. In questo senso, la politica dovrebbe muovere il percorso della società stessa, fornendo un indirizzo, dando risposte ai bisogni collettivi, interpretando le istanze della vita di tutti i giorni, anche delle minoranze, creando i presupposti per lo sviluppo, senza tralasciare i quesiti di carattere morale che nel tempo subiscono variazioni e affrontano tematiche sempre diverse, tutte attuali. La politica intesa come motore per il benessere della collettività, come confronto aperto alle ragioni presenti nelle diversità di pensiero, come fonte di sintesi che sappia tener conto dei punti di partenza che nascono da angolazioni diverse e possono convergere nutrendosi delle opinioni liberamente espresse da posizioni differenti. Una informazione libera è la base di una democrazia compiuta.
Ma anche una lettura critica dell’informazione. Una società è un insieme di individui e ciascuno, nel corso della sua vita, sviluppa un modo di pensare che gli è proprio, con i suoi convincimenti e i suoi ideali. A prescindere dalla libertà di chi scrive o riferisce qualcosa, nel senso della non appartenenza a gruppi di potere o a editori il cui intendimento è teso ad appoggiare quei gruppi di potere o a sostenere interessi economici di parte, quel che viene scritto o detto subisce la naturale modifica che nasce da quel modo di pensare, da quei convincimenti, da quegli ideali.
Se la lettura o l’ascolto sanno tenere conto della fonte, se sanno mettere a confronto i resoconti e i commenti diversi, se riescono a recepirli realizzando una conversione in una sintesi propria di ognuno, a prescindere dalla libertà dell’informazione, può esserci una lettura o un ascolto critico dell’informazione stessa. Che ha un valore fondamentale per il verificarsi delle condizioni che determinano una democrazia compiuta. Il nostro Paese presenta un po’ un’anomalia, rispetto alle considerazioni che faccio sopra. La notiamo tutti i giorni, quale che sia l’argomento oggetto della nostra attenzione o del nostro interesse. E’ spesso difficile conoscere l’aspetto e l’essenza di qualcosa, ma non i giudizi, i commenti, il resoconto dei commenti:accade sfogliando le pagine di un quotidiano, di una rivista, o vedendo un telegiornale, o visitando le pagine web di un sito, sulla rete. Se, ad esempio, si vota in Parlamento un emendamento a un articolo di legge, sui giornali, in televisione e purtroppo anche su internet, che pure viene presentato come un mezzo che fornisce maggiori possibilità di ricerca e di approfondimento, troveremo resoconti, commenti, interviste, reazioni, pareri favorevoli o contrari e tutto quel che può scaturire dalla discussione inerente l’emendamento oggetto del dibattito parlamentare, tranne l’emendamento stesso o almeno le informazioni, seppure generiche, su quel che è previsto nei termini. Probabilmente questo può accadere nel nostro Paese perché non c’è la predisposizione a favorire un ascolto e una lettura critica delle notizie, perché non è così presente, in essere, una capacità di sintesi comprensiva individuale nella loro ricezione e nella correlazione col pensiero che si lega ad esse. E’ in atto un forte attacco a coloro che operano nel mondo dell’informazione ed è contestato vivamente il finanziamento pubblico all’editoria. Ma chi conduce questa battaglia per un’informazione libera o, almeno, più libera, dimentica di condurre, con la stessa energia, una battaglia per la diffusione di una ricezione attenta e critica, lucida e consapevole, propria ed autonoma. L’opinione pubblica viene troppo spesso citata e presa in considerazione… l’opinione pubblica si può orientare e indirizzare, le si può far vedere o credere una cosa piuttosto che un’altra… Invece l’opinione propria di ciascuno, sintesi dell’intelligenza della diversità delle fonti e del modo di raccontare, critica del proprio pensiero sulla possibilità di conoscenza del fatto che genera la notizia – nell’esempio di sopra il testo dell’emendamento – non è facile da manipolare. Un percorso di libertà non contesta il finanziamento all’editoria, né l’abolizione dell’ordine dei giornalisti, né la spartizione vergognosa delle poltrone e dei direttori di testata nelle televisioni… un percorso di libertà cerca di porre le basi perché non accada che la persona sia considerata numero, che l’individuo sia considerato elettore. L’ordine dei giornalisti può esistere nel senso che chi opera nell’informazione debba avere un organo a cui rispondere del proprio operato, oltre che alla legge.
Il finanziamento pubblico alle società editrici “pure”, cioè non di proprietà di soggetti o società che abbiano interessi in altri settori dell’economia, può offrire le condizioni affinché chi investe nell’informazione non abbia ad esporsi al rischio di dover soggiacere a pressioni o, per l’appunto, interessi di forti gruppi economici o di lobbies o di movimenti politici. La televisione pubblica ha subìto da sempre le ingerenze della politica. Ha fatto il bello e il cattivo del nostro tempo, ha agito in regime di monopolio. Poi, la tecnologia, come altre volte è accaduto nella storia, è venuta incontro, con le opportunità che è in grado di offrire, alle istanze di pluralità di vedute e di libertà d’espressione, con la nascita delle tv private che ha interrotto la solitaria egemonia del prodotto offerto dalla tv di stato. Già quella poteva essere l’occasione per l’abolizione del canone obbligatorio, che è ancora oggi l’unico motivo per cui la RAI si permette di avere questo tipo di telegiornali e questo tipo di programmi di informazione. Ma, come oggi, non è accaduto perché la politica ha troppi interessi sulla RAI. E’ arrivata una nuova possibilità adesso, offerta sempre dalla tecnologia, e si chiama digitale terrestre. Questa è l’occasione per liberare la RAI dalle interferenze della politica. Il canone RAI è una tassa iniqua, la RAI entri sul mercato, si confronti con la realtà produttiva, smetta di farsi privilegio della rendita di posizione che le viene offerta dai tributi derivanti dall’imposizione del canone. C’è il digitale, si acceleri la chiusura delle trasmissioni in analogico… la RAI vada, come tutte le altre televisioni, sul digitale, con la possibilità di esser vista a pagamento tramite l’acquisto di una carta prepagata, che abbia valore temporale, di un mese o di un anno non importa, o anche per singoli programmi, come già avviene per altre emittenti private: non è più tempo di spartire poltrone e incarichi, la realtà è il nuovo, il digitale a pagamento abolisce due cose: l’obbligatorietà del canone e la politica dentro la RAI. Tre proposte di libertà, dunque, in controtendenza. Ma anche se parliamo della casta dei politici e dei privilegi dei politici, una autentica proposta di libertà sarà in controtendenza. Alla politica è da rimproverare l’illegalità e il malaffare. Tangentopoli ha lasciato emergere una realtà che era da sempre stata e che continua a esistere, solo che negli anni di “tangentopoli” [ne uso il termine, che per brevità ricorda quel periodo] sembrava essere tutto marcio e corrotto perché era caduto un muro, qualche anno prima, e bisognava sbarazzarsi di certi attori della scena politica, alcuni dei quali sono poi rientrati. Ma non è mai tutto uniforme, anche nell’illegalità e nel malaffare… la politica non è questo, sono le deviazioni dal compito che vanno combattute, e seriamente. I processi sommari, quelli sui media e nei bar o nelle piazze durano un tempo più stretto che non quelli sostenuti da una reale fondatezza.
E un po’ si è anche voluto far finta di cambiare proprio perché nulla invece andasse a subire mutamenti. Un politico inteso come cittadino di una comunità che svolge un compito di amministrazione e governo della stessa non deve assolutamente agire nella non legalità, né nell’interesse proprio o d’altri, ove questo interesse sia esclusivo di una parte della società che rappresenta e non della totalità dei suoi componenti. Questo è quel che non deve essere un politico. Non sempre la politica ha espresso i migliori, non i tutti i ruoli, né nelle cariche. A volte a fare politica sono persone spinte da interessi non generali. Un politico opera delle scelte e dovrebbe farlo per il bene comune. Coloro che parlano di privilegi della politica e di casta dei politici su alcune cose hanno ragione, su altre ci marciano un bel po’, su altre omettono. Il CSM non deve avere membri politici.. la magistratura, in quanto potere separato dello stato, non deve avere membri aderenti a sigle di rappresentanza, deve mantenere il proprio distacco dalla politica.. i magistrati che scelgono di entrare in politica devono abbandonare la magistratura..
Solo così non accade il caso Forleo e De Magistris. Una persona che abbia dei valori e che abbia conseguito dei risultati nella vita che decidesse di fare politica per “operare delle scelte per il bene comune” dovrebbe essere posto dalla comunità in condizioni di benessere e di serenità… sono chiacchiere da bar le discussioni sui costi della politica… i veri costi della politica sono le tangenti, gli sprechi, le risorse male o inutilizzate, la miopia di certi amministratori, gli accordi sottobanco, le spartizioni… Non considero un privilegio una bella casa, l’auto con autista, i viaggi, gli omaggi agli eventi culturali e sportivi, l’uso gratuito dei mezzi per spostarsi sul territorio nazionale o nel mondo. Non considero un privilegio un lauto rimborso mensile, specialmente per un certo tipo di incarichi, per la Presidenza del Consiglio o della Repubblica, per i Sindaci, per i Governatori o Presidenti di Provincia… né considero migliore di altri un politico che rinunci volontariamente a quelle che sono definite le sue prebende. Non è questo il problema. E’ soltanto che si vuole che lo crediamo, forse per distoglierci da altre cose, sicuramente più importanti. Pensate, è vero che lo Stato si sostiene con le nostre tasse, ma se un allenatore di una qualsiasi squadra di calcio ha uno stipendio di anche nove milioni di euro - e vabbe’ che lo paga la società calcistica – perché non dovrebbe averlo un Presidente del Consiglio? E, soprattutto, credete che saremmo al punto in cui ci troviamo se i guai fossero derivati “soltanto” da quelli che vengono definiti privilegi? Lo scrivevo in un post del 20 maggio, è che molti sanno di poter esistere fintanto che danno contro qualcosa o qualcuno, ma non hanno nessun vero ideale che li spinga in una direzione piuttosto che in un’altra. Ne parlerò ancora, in altre occasioni. Anche questo è un argomento che merita altri approfondimenti.
1 commento:
Benvenuto in Tocqueville. Complimenti il tuo primo post aggregato è stato scelto dalla redazione e messo in evidenza.
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