sabato 28 marzo 2009

Fini al Congresso


Lo stesso lungo plauso riservato al ministro Brunetta accoglie l'inizio del discorso di Gianfranco Fini alla platea dei delegati di questo primo congresso, quello fondatore, del Partito del Popolo delle Libertà. L'abbraccio finale di Silvio Berlusconi a rimarcare l'inesistenza di motivi di disaccordo tra i due leader, ripresa anche dal Presidente di Alleanza Nazionale nelle sue parole, con il Premier a scendere la scaletta che porta giù dal palco con le braccia poggiate sulle sue spalle. E' interessante il discorso di Fini, al pari di quello del Presidente del Consiglio che ha chiuso i lavori ieri sera. Racconta degli ideali e delle motivazioni, gli uni e le altre ancorate a un criterio di concretezza, che hanno mosso le ragioni della nascita del PDL. La vocazione del Paese al maggioritario, il pluralismo, la diversità delle posizioni in un sistema democratico che non devono sfociare in tensione e indebolimento delle Istituzioni. Il risultato elettorale dell'aprile dello scorso anno che ha espresso una maggioranza consolidata, un esecutivo rafforzato nella sua credibilità dall'alleanza con la Lega, qualcosa che richiede rispetto.
La grande scommessa, dice Fini, è mostrare che in una democrazia compiuta il buon governo non coincide necessariamente con l'alternanza di forze politiche a fine legislatura, perché le idee e i concetti servono a disegnare lo sviluppo: pensare e costruire l'Italia di domani, giorno per giorno, per programmare da basi solide. Occorre essere capaci di alimentare dall'individualismo una speranza collettiva in un futuro in cui credere; e il senso di appartenenza a una comunità.




Comincia con i ringraziamenti, Gianfranco Fini: per la chiarezza e la generosità nel discorso di ieri di Berlusconi... chiaro nel dire cosa è davvero il PDL, non un cartello elettorale ma un soggetto politico popolare, sintesi di valori comuni alle forze che hanno scelto di porre le basi della sua nascita; e per l'omaggio del Premier a Pinuccio Tatarella, non solo un pensiero a una persona scomparsa ma il ricordare la sua intuizione politica. Prosegue con il sottolineare l'importanza, per una società coesa e modernamente strutturata, del garantismo e della correttezza. Il grande partito plurale che è il PDL, continua Fini, è una sintesi positiva che ha in Berlusconi un referente che garantirà esecutività alla sua linea, che si colloca appieno nella famiglia del PPE, cioè pluralismo e democrazia senza statalismo. Le componenti che stanno contribuendo alla nascita del PDL vengono da storie e culture a volte anche diverse, ma con valori comuni insieme al rispetto degli avversari politici. E qui fa anche quella che chiama una "considerazione oggettiva" l'on. Fini: dei due grandi raggruppamenti politici che hanno preso forma in Italia, il PDL ha una suo preciso posizionamento in Europa, quello ricordato sopra nel PPE; il PD, invece, non ha un suo riferimento e mostra di essere, perciò stesso, una sintesi apparente e non ancora compiuta... non è cambiando i segretari alla guida del partito che i democratici avranno sviluppo nella continuità di una linea che rimane frammentata, manifestazione di punti di visione a volte in contraddizione, proprio per il loro venire da riferimenti diversi, privi di collegamenti comuni.
Tre grandi questioni individua Fini, nel chiedersi e nel chiedere cosa significa essere italiani oggi. Ricorda il suo ruolo di Presidente della Camera in una democrazia parlamentare, che comporta che egli debba a volte intervenire con parole e prese di posizione che ne evidenzino la centralità nella funzione legislativa; e che la stampa, quelle stesse volte, riprende come fossero di richiamo per l'azione del governo, senza che siano assolutamente, invece, in contrasto con Berlusconi.
Una delle tre è la qualità della nostra democrazia. Occorre che il volano si alzi, che la farfalla si libri nell'aria, dice il Presidente Fini: dare vita a Istituzioni che rispondano alle istanze del Paese. Una democrazia è necessario che sia autenticamente rappresentativa e governabile: in questo non può esserci contraddizione, perché dall'ascolto delle domande della società serve che ci sia un governo capace di decidere, poi, per avere in concreto le risposte alle sfide sempre più pressanti e incisive che richiedono i tempi di adesso e del futuro. Non si può non riprendere con le riforme indispensabili a competere con la modernità. La prima parte della Carta Costituzionale è viva e ancora attuale e non richiede modifiche, magari soltanto un aggancio al ruolo dell'Europa così come è andato a evolversi nei decenni. Ma - e anche qui c'è un lungo applauso dei delegati - la seconda parte si può e si deve riformare, proprio al fine di evitare che si presenti la contraddizione che si vuole evitare.
Rafforzare il governo, iniziare una grande stagione costituente, rispettando la Costituzione vigente nel riformarla: e bisogna farlo davvero, dice ancora Fini, per l'importanza di poter legiferare secondo i tempi e le esigenze di una società moderna.
La seconda delle sfide è la qualità della vita degli italiani... ed è dall'assetto che avrà la Costituzione, che si potrà rispondere con l'attenzione che le stesse istanze legate a quest'altra sfida impongono. Intanto bisogna che ci sia consapevolezza che la crisi attuale è "strutturale", non congiunturale, di un capitalismo che aveva spostato il baricentro della sua azione sulla finanza piuttosto che sulla produzione della ricchezza. Aumentare i dividendi e i bonus per i manager ad essi collegati, ha spostato l'attenzione dalla produzione verso forme già definite di "finanza creativa"... Nulla di nuovo, tiene a precisare Fini: occorre che siano riposti al centro dell'economia il lavoro e la "concretezza del fare", così che il sociale non risulti un appello ma il recupero di valori tradizionali e che la risposta alla lunga crisi economica di questi momenti difficili abbia la sua provenienza da "categorie di pensiero" che sappiano ridare slancio alla responsabilità e alla capacità di decidere e muovere le cose che sono da fare.
In questo, la crisi del PD non è soltanto di consenso, ma di idee e di proposte: la difficoltà, a volte troppo palese, di comprendere verso dove andava e va la società italiana e di interpretarne l'orientamento per soddisfarne le richieste. Elogia, proseguendo nel suo discorso, le iniziative di volontariato e delle associazioni no profit, che gli offrono lo spunto per parlare di un welfare che garantisca solidarietà e che sia un welfare delle opportunità da offrire e garantire ai più deboli, non dell'assistenzialismo. Ciò potrà comportare il rivedere gli assetti dei rapporti previdenziali, rimettendo mano alla riforma delle pensioni... ma questo Fini lo segna quasi di passaggio, per parlare di una cosa più pressante per la stabilità del Paese: il patto tra generazioni, il sentirsi da una stessa parte per genitori e figli, già richiamato altre volte in passato. Il lavoro che non c'è richiede una riflessione: che siamo un po' tutti noi al contempo produttori e consumatori, che non esiste più una società divisa tra proletari e borghesi; e che si smetta di pensare al vecchio e si realizzino le basi di una più produttiva concordia sociale. La visione ottocentesca della sinistra riguarda una fotografia della nostra società che non c'è più.
La natura del nostro essere comunità nazionale, la misura della nostra identità, anche nel dibattito interno al PDL, a proposito ad esempio del problema dell'immigrazione, non possono non tenere conto del ricordare d'essere stati noi stessi un popolo di emigranti per proporre, anche in questo, una risposta che nasca da una categoria di pensiero, che raccolga valori e idee per una integrazione nella legalità che non comporti una assimilazione quasi obbligata e che abbia un fondamentale rispetto per la dignità umana. Non deve esserci timore per ciò che non conosciamo. Anche la scuola riveste e dovrà farlo più marcatamente in futuro un ruolo strategico nell'integrazione.
Altra importante sfida, non ultima per importanza, è quella del patto tra nord e sud, che faccia del meridione - che paga più forte i danni della crisi economica e finanziaria - un'area in cui anche dal federalismo fiscale nasca un'opportunità per annullare logiche clientelari e per dare slancio alla scelta di fare e alla realizzazione delle infrastrutture, senza le quali continuerà a non esserci sviluppo. "Lo Stato non deve essere il participio passato del verbo essere", ricorda Fini, ma uno Stato che sappia riaffermare la sua posizione: dare alle Regioni del sud la possibilità di competere sul mercato e di risolvere il deficit di strutture e legalità con il contributo del ruolo fondamentale che hanno le Istituzioni. La chiama "tela di valori"... "etica del dovere" per preparare la società di domani. Anche in questa conclusione c'è la serenità di chi sa di non scoprire nulla di nuovo, soltanto il dare centralità allo sviluppo attraverso il riaffermarsi della "tradizione" dei "valori irrinunciabili" di una società che non abbia solo la "cultura dei diritti" ma anche quella "dei doveri", al servizio di un benessere che sia comune. Ed è nella individuazione dell'importanza dell'assunzione di responsabilità rispetto alle grandi questioni, finisce il Presidente, che è possibile per gli italiani ritrovarsi nelle speranze che li muovono, riprese all'inizio del suo intervento. Non c'è contraddizione tra il senso di identità italiano e l'appartenenza al progetto di un'Europa libera e unita; come non ce n'è nel richiamo alle radici cristiane dell'Europa e nella necessità della laicità dello stato. Perché la laicità è la distinzione tra i modi di intendere i rapporti tra Religione e Stato ed è "frutto della maturità del cristianesimo", garanzia dall'ideologia: per "non usare la religione come pretesto per leggi".

Nessun commento:

Visualizzazioni totali